Diamante e carbone hanno la stessa natura chimica, ma il carbone trattiene la luce e il diamante la rifrange. E cambia tutto: effetto, bellezza e valore.
È vero. Nessuno ci pensa.
È stata Diana Nyad, nuotatrice statunitense, a scrivere questa frase. E non l’ha scritta su un foglio di carta ma su una parete di casa sua, dopo aver gettato nel cassonetto (e poi velocemente recuperato), tutta la sua attrezzatura di nuotatrice in mare aperto.
Ha scritto sul muro queste parole che hanno tutta l’aria di una dichiarazione di resilienza.
Una frase che significa molto anche per gli alchimisti.
Sconforto, resilienza, rinascita.
La storia di Diana Nyad è esemplare.
Cresciuta in Florida, dimostra fin da bambina un gran talento per il nuoto. Tanto che viene forsennatamente allenata per i Giochi Olimpici del 1968. Ma poco prima finisce in ospedale per una endocardite che ne fiacca i risultati di velocità in piscina. Allora ricorda la frase che sua madre le ripeteva da bambina quando erano in spiaggia: “Lì di fronte c’è Cuba, ti fanno credere che sia lontana ma in realtà è vicina, potresti quasi raggiungerla a nuoto”.
Ci prova per la prima volta nel 1978, dentro una gabbia anti-squalo. Dopo 42 ore di nuoto ininterrotte e 122 km percorsi deve desistere a causa delle potenti correnti che la deviano verso il Texas.
Negli anni seguenti compie diverse traversate verso le isole caraibiche, battendo molti record di nuotata in mare aperto. Al posto della gabbia anti-squalo, che la impiccia, ha organizzato una piccola imbarcazione di esperti che la segue passo a passo, emettendo ultrasuoni per tenere lontani i predatori e un sistema di luci led che illuminano il suo percorso di notte. Si allena senza sosta.
Nell’agosto del 2011, all’età di 62 anni, punta di nuovo verso Cuba ma dopo 29 ore una crisi di asma (allergia a certi farmaci) la blocca.
A settembre ci riprova: alla quarantunesima ora si imbatte in una rara medusa con tentacoli di 10 metri che le bruciano il collo e un braccio. Non riesce a respirare. La ripescano e finisce in ospedale. È a questo punto che va a scrivere la sua famosa frase sul muro di casa.
Un anno dopo, nell’agosto del 2012, ci prova ancora. Arriva più lontano ma si deve arrendere perché non solo le meduse le bruciano la pelle ma tuoni e fulmini si scaricano sulle acque di quel tratto di oceano. La ripescano mezza morta, in preda a deliri che le riportano alla mente gli abusi subiti dal suo allenatore nell’adolescenza (all’epoca della endocardite, povero cuore) le liti furibonde con la sua manager e con tutti quelli che la vorrebbero arresa. Ma lei si rifiuta di annegarci dentro. Non si arrende.
Esattamente un anno dopo, nel settembre del 2013, si ributta in acqua.
E finalmente raggiunge Cuba. A 64 anni nuota per 52 ore, 54 minuti e 18 secondi. All’arrivo, stremata, riesce appena a pronunciare queste parole, al microfono dei numerosi giornalisti che la attendono:
“Uno: non smettere mai di crederci.
Due: non si è mai troppo vecchi per inseguire i propri sogni.
Tre: sembra uno sport solitario, ma ti serve una squadra”.
Perché questa storia è importante?
Perché per ognuno di noi c’è una Cuba da raggiungere. C’è una possibile traversata che porta dalla terraferma delle abitudini rassegnate fino all’isola dei propri sogni, un’isola che è metafora di chi vorremmo essere.
Di chi “sentiamo essere”.
E non ci sono meduse che tengano.
Ma per arrivarci bisogna affrontare l’imprevedibile, le burrasche della vita e soprattutto le piovre dei nostri schemi mentali e i fulmini di chi vorrebbe scoraggiarci. Con una Fiducia incrollabile e un allenamento costante.
Ma questo percorso non è solitario: siamo tanti, c’è un’intera squadra di alchimisti che assiste, supporta, incoraggia, celebra i traguardi.
Una squadra di nuotatori è pronta a collaborare con te.
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